Il Caldo Cuore di Masumi

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    Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza

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    Capitolo sedici.



    Ha seguito suo figlio un anno dopo la sua tragica scomparsa.
    Non ha retto al dolore e, del resto, il suo fisico, non è mai stato forte abbastanza.
    Gli sono stata accanto sino all’ultimo, nonostante tutto, nonostante le sue cattiverie.
    Il suo genietto.
    Così mi chiamava quand’era alla fine e, forse, vaneggiando un poco, mi diceva che avevo mutato il corso del mondo: quello di Masumi e il suo, anche. Al punto di essere riuscito a riuscito a riconciliarsi con la sensei, a chiedere perdono delle sue malefatte.
    Come Masumi, anni fa, era solito deporre rose scarlatte sulla tomba di mia madre, allo stesso modo avevo preso l’abitudine di fare parimenti con Eysuke.
    Stavolta, però, sono stata preceduta.
    Un mazzo di rose – scarlatte – è adagiato sulla lapide di colore nero.
    Non ne resto particolarmente scioccata. È come se me lo aspettassi. È come se la testa fosse presa da altro e, in effetti, è proprio così.
    Cerco tra gli steli e trovo un biglietto.
    “Se l’anima di questa dèa invisibile esistesse o vegliasse su di noi,” leggo a voce alta “quanto ci parrebbe meraviglioso il semplice vivere!”
    “Cos’hai detto, Kitajima?”
    La voce rauca di Ryuzo Kuronuma mi coglie di sorpresa.
    Lo spavento fa sì che il biglietto cada ai miei piedi ed è lui, pur anziano e malandato, a chinarsi per raccoglierlo.
    Legge il testo, prima di rendermelo e il suo stupore, nel mentre, si fa più grande.
    “Rammento bene queste parole.” Dice.
    “Davvero?” chiedo improvvisamente in preda ad un’ansia crescente.
    “Le ricordo” precisa “perché sono stata io a pronunciarle.”
    “A chi le ha dette, signor Kuronuma…?”
    Non è necessario, però, che lui mi risponda.
    Gli racconto quello che sta accadendo e, mano a mano che la narrazione prosegue, anche la sua curiosità pare placarsi.
    È noto che chi vede dall’esterno goda della serenità d’animo che manca a chi è coinvolto.
    Si può dire, quindi, che il mio regista, nella sua testa, stia mettendo a posto ogni tassello.
    “Non sono qui per caso, Kitajima. È stato il tuo giovane assistente a dirmi che potevo trovarti qui.”
    “Non capisco.” Dico “Perché mi stava cercando?”
    “Egli sorride eloquentemente:
    “Perché sarò io a dirigerti. E sarà il mio ultimo spettacolo teatrale.”
     
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    Capitolo diciassette.



    Torno al parco Asahi di nuovo, ma da sola, qualche giorno dopo.
    Sono in cerca di ricordi e sensazioni. E mi sono portata dietro lo scritto di Umibozu per pensarci su. Come segnalibri, ho usato i biglietti trovati tra i due mazzi di rose scarlatte, quello destinato a me e quello per Eysuke Hayami. Poiché, senza Umibozu, riesco a cogliere poche sfumature, la mia permanenza si fa breve. Torno indietro: solo allora capisco che sto ripercorrendo ancora una volta la mia vita a ritroso. Il cavalcavia che attraverso a piedi, un colosso di lamiere e cemento, è simile al ponte di corde della Valle dei Susini, che la sensei Tsukikage bruciò. Mentre lo dava alle fiamme, pronunciava quella che a me e ad Ayumi suonò come una sorta di sentenza:

    “La dèa scarlatta, ormai, vive dentro di voi.”

    Ho riflettuto a lungo, anni fa, sul senso di quel gesto e ne ho trovato il senso in ciò che Masumi, sul ponte cittadino, mi ha detto:

    “Fammi credere nella dèa scarlatta.”

    E ancora:

    “Anche io sono come te: nessuno: né io né tu né alcun altro abitante di questa metropoli crede che esista uno spirito divino buono e amorevole con noi. L’anima e le parole della dèa scarlatta non possono vivere nel mondo reale.”

    Era come se Masumi mi spronasse a farlo credere. Ma credere in cosa?
    Apro il copione di Umibozu e leggo una battuta di Isshin:

    “Se tu stessa non credi, come posso io? Aiutami, Akoya. Dammi un nome, te ne prego.”
    E Akoya risponde:

    “Quel nome potrebbe mutare gli equilibri raggiunti.”
    “Chiamami amore, allora.” dice Isshin “Se lo facessi, forse, potresti perfezionarlo, quell’equilibrio.”

    Lasciare la dimensione reale e trascendere nella realtà. Non è impossibile.
    Lo è diventato, per me, dopo che Masumi se ne è andato: perché ho lasciato che le mie ossa, le mie corde vocali, il mio pensiero invecchiassero d’improvviso?
     
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    Capitolo diciotto.



    Essenzialmente, ritengo che ci siano dinamiche quasi ripetitive. Non so se sono causate da situazioni e sentimenti irrisolti.
    Quando Umibozu e Yuu, che pur non si sono mai visti prima di qualche giorno fa, si incontrano, si percepiscono scintille.
    In mia assenza, poi, può accadere di tutto.
    “La signorina Kitajima non c’è.” Dice il mio manager accogliendo Sakurakoji in ufficio.
    “Lo so,” Risponde quest’ultimo “ma sono atteso. È stata Maya a chiedermi di venire qui.”
    “Certo.” Dice Umibozu “E suppongo sia per il ruolo di Isshin: so che la signorina gliel’ha proposto.”
    “E lei non pare del tutto d’accordo.” Osserva Sakurakoji perspicace.
    “Voglio solo il meglio, per questo spettacolo. A quanto ne so, lei è stato un Isshin eccezionale, a suo tempo. Lo spettacolo, ancora oggi, è diventato un cult in ogni scuola di recitazione che si rispetti.”
    “Ha visto i video?” chiede Yuu interessato “Potrebbe prendere spunto. Ad esempio, riguardo a…”
    “Non mi serve prendere spunto.” Si trincera subito Umibozu “Il Maestro Oozachi ha scritto tutto ciò che c’era da scrivere ed io mi limito a sistemare la sua bozza.”
    “Senza dubbio, un lavoro originale.” Commenta l’altro.
    Il mio manager capisce che gli ho già passato copia dei suoi appunti e, soprattutto, che Yuu ha una perspicacia non indifferente.
    “Ad esempio,” continua quest’ultimo “è stato abile nell’inserire episodi originali, tratti forse da…un più recente passato.”
    Si riferisce all’incontro nella Valle mio e di Masumi.
    Umibozu stringe gli occhi:
    “Debbo dedurre che siate entrati in confidenza tale da raccontarle particolari così intimi?”
    “Io ho chiesto a Maya di sposarmi!” sbotta Sakurakoji “E lei avrebbe anche accettato, se solo Hayami non si fosse messo in mezzo. Maya si è sempre aperta, con me. Ha visto in me un punto di riferimento fin dalla sua prima giovinezza.”
    “Già.” Ironizza Umibozu “La morte di Hayami, però, non le ha consentito comunque di coronare il suo sogno.”
    Yuu fissa negli occhi il mio manager:
    “Lei trova strano che Maya si sia confidata con me, ma sono io a trovare quantomai curiosa la sua conoscenza di certi particolari. Lei non era neanche nato: dove ha trovato queste informazioni?”
    “E’ il mio lavoro.” Fa in tempo a dire il ragazzo.
    Entro in ufficio in quell’istante, interrompendo il confronto.
    Umibozu mi guarda appena, mentre Sakurakoji mi viene incontro per baciarmi, gesto che ricambio col consueto entusiasmo.
    “Mi ritiro a scrivere.” Dice il manager “Con permesso.”
     
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    Capitolo diciannove.



    “Ha sempre imitato Maya! È sempre stato trascinato da lei. A lei deve la sua grandezza!”
    Così mastica Umibozu pensando di essere solo. Scaglia sulla scrivania le sue carte, che si spargono per il tavolo lucido come fossero un ventaglio.
    Ma c’è Mitzuki, sprofondata in un’ampia poltrona:
    “Senza dubbio, è una situazione ambigua. Siamo alle solite, è così? Tuttavia, se permette, commetterebbe un altro errore madornale, se si trovasse nella ingiusta condizione di diminuire il talento di Sakurakoji.”
    La segretaria ridacchia:
    “Per non parlare del fatto che il capolavoro scomparso sottolinea proprio questo: il fatto che tutto ruoti, universo incluso, attorno alla parte femminile.”
    “Non parto prevenuto.” Si difende Umibozu “E’ solo che non sono certo che egli comprenda questo nuovo copione.”
    Mitzuki annuisce:
    “Indubbiamente, c’è una sola persona in grado di capire questo mix di …biografismo e capolavoro scomparso.”
    “Io non sono un attore.” Risponde a tono il ragazzo “Questo è uno di quegli spettacoli che Maya, un po’ come fece con Gina dai 5 vasi azzurri, potrebbe benissimo interpretare in solitario.”
    “Il suo problema è sempre quello, a quanto pare.” Ridacchia la donna “Imparerà mai, mi chiedo?”
    “Io sono quello che sono.” Dice Umibozu “E, al tempo stesso, non lo sono. Se si trovasse nella mia condizione, di certo non ci troverebbe nulla di strano o di ridicolo.”
    “E’ vero.” Afferma lei “Sbaglio anche io, probabilmente, a mescere passato e presente, ma è divertente constatare quale parte prevalga in occasioni come questa. Gli errori si ripetono sempre. Non si impara mai, è così?”
    “E’ del tutto probabile che io sia vittima di una gelosia atavica. Non posso impedirmelo.”
    “Tipico.” Conclude Mitzuki “La lascio lavorare, ora.”
    Ella fa per uscire.
    “Ci vada.” Quasi le ordina Umibozu “Vada da Maya a…vedere che succede.”
    “Cosa vuole che succeda?” chiede la donna ironicamente.
    “Qualunque cosa sia, li interrompa. Se non lo farà lei, andrò io.” risponde il manager.
    Mitzuki scuote la testa:
    “Parla sul serio? No, davvero, pagherei per vedere finalmente una scena di tal fatta.”
    Egli porta le mani alle tempi:
    “La verità è che sto impazzendo. Sono io e non sono io. E questo copione mi fa perdere la lucidità necessaria per portare a termine con successo lo spettacolo.”
    “Voleva disperatamente qualcosa di suo.” Gli rammenta Mitzuki “Qualcosa di totalmente originale: credo sia riuscito nell’intento. Che cosa sta accadendo? Perché non le basta più?”
    “Non ho tenuto conto della mia gelosia e del rimpianto nei confronti del non – fatto.” Risponde Umibozu “Ed è per questo che temo ogni loro incontro.”
    Si alza e fa proprio ciò che aveva pregato facesse Mitzuki. Lei lo segue con lo sguardo, sorniona e non del tutto convinta al tempo stesso.
    E, infine, il ragazzino bussa. Con una certa foga, aggiungo.
    “Scusate.” Dice scorgendoci seduti sul divanetto, due tazze fumanti tra le mani, le espressioni distese “Pensavo vi servisse una consulenza, dal momento che ci sono molte parti ancora oscure, sul testo.”
    “Consulenza?” ripete Sakurakoji.
    Non comprendo se il mio amico sia lì per scoppiare a ridere o palesi disappunto.
    “Sono io l’autore.” Dice Umibozu.
    “E non manca di rimarcarlo.” Gli fa eco Sakurakoji.
    “Non stavamo parlando del suo copione.” Mi intrometto dopo aver compreso che l’atmosfera, tra loro, è piuttosto tesa.
    E, ora, vedi che puoi fare, penso tra me. Non lo dico, ma paleso l’espressione di una persona che non gradisce ingerenze:
    “Nel momento in cui realizzassimo di aver bisogno di lei, saremo i primi a interpellarla.”
    “Il signor Sakurakoji è stato interpellato da lei, ma non può bypassare l’autore del copione.” Dice Umibozu sempre più teso.
    “Maya, è ora che vada.” Mormora Yuu alzandosi “E’ del tutto ovvio che io sia di troppo. Fammi sapere se hai bisogno di me: in tal caso, verrò qui immediatamente.”
    Lo bacio sulla guancia e lo accompagno alla porta, scusandomi con lui della scortesia del mio collaboratore.
    E faccio in modo che Ayakawa mi senta, anche.
    Quando chiudo l’uscio, quasi mi avvento su di lui, ma noto immediatamente che si è seduto sulla poltrona senza domandare permesso: e ha sul volto un pallore che fa paura.
    “Mitzuki!” urlo “Chiami qualcuno!”
    La donna irrompe nella stanza col cellulare in mano, quindi chiama un’ambulanza. Io sono ancora in parte rivesa su Umibozu per dargli conforto. Gli prendo la mano, gli tasto la fronte scostando i capelli biondi, gli accarezzo il viso.
    Lui, dapprima, ha gli occhi aperti, pare desto. Poi, collassa tra le mie braccia.
    È il panico.
    Quando l’ambulanza arriva, siamo ancora fermi in quella posizione michelangiolesca: rammentiamo una sorta di Pietà. La differenza, però, è che non siamo fatti di marmo e la mia agitazione va di paripasso con lo stato d’incoscienza in cui il ragazzo versa.
    “Andiamo, si tiri su!”
    Ma è tutto inutile. Quando gli infermieri me lo portano via dalle braccia, io mi sento come svuotata. Come se mi avessero strappato il cuore.
    Uno stato d’animo di tal fatta è del tutto ingiustificabile.
    Fisso Mitzuki e dico:
    “Andiamo anche noi!”
    Lei si offre di guidare l’auto ed io, con un’agitazione pressoché incontrollabile, acconsento.
    È un viaggio infinito, che mi permette di riflettere a lungo.
    Ancora solitudine.
    Ancora dolore.
    Vorrei essere fisicamente sull’ambulanza.
    “Stai bene?” mi chiede Mitzuki scrutandomi in viso.
    Io annuisco appena.
    “Vivrà.” Dico “Vivrà, vero?”
    Ella alza le spalle:
    “Uno come lui vive alla giornata. Pensavo lo avesse capito.”
    “Non mi hanno insegnato a credere tutto quello che c’è scritto su un fascicolo.” Ribatto acidamente “Una mattina, uguale a tutte le mattine susseguitesi in vent’anni, lei e Hijiri mi lasciate questo…pacco regalo in ufficio e ve ne andate per non so quale destinazione, per non so quale motivo. Dopo ovvie ritrosie, provo ad instaurare un dialogo con il ragazzo e ci riesco, anche. Scrive cose che mi piacciono, che mi incutono nostalgia. Addirittura, a causa di una mia leggerezza, mi salva la vita! A che è servita tanta fatica, se poi debbo perderlo!”
    “Il suo cuore non ha retto.” Dice Mitzuki con tono grave “Non è mai stato forte abbastanza di fronte a certe situazioni.”
    “Situazioni?” ripeto “Di che <situazioni> parla?”
    “So benissimo che è malato di cuore,” sbotto “ma non credevo si facesse prendere la mano al punto da star male per uno spettacolo che lui ha deciso di mettere in scena!”
    “Forse, dovresti trovare una spiegazione altrove, Maya, non trovi? Sei sempre stata cieca, quando si tratta di sentimenti.” Mi dice Mitzuki facendomi imbestialire una volta di più.
    “Di cosa stiamo parlando, signorina?! Di che sentimenti? Io amo un solo uomo, lo sa? O debbo rammentarle come si chiama?”
    “Credo che Umibozu veda in lei qualcosa di più di una semplice datrice di lavoro.” Si rassegna a dire “Ovviamente, io stessa trovo questa situazione alquanto ambigua. E’ pazzesca, per certi versi.”
    “E’ assurdo quello che lei sta dicendo, Mitzuki!” quasi urlo mentre lei parcheggia l’auto “Sta…insinuando che il ragazzino provi per me qualcosa di più che…cioè, che lui mi…”
    “Smettila di balbettare, Maya.” Mi dice “Tu sei adulta. Lascia che siano i bimbetti a farfugliare.”
    Scendiamo di gran carriera e io volo sulle scale, lasciandola indietro ad annaspare quasi.
     
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    Capitolo venti.


    “Maya, non cedere…Non con lui…”
    “Che accidenti sta dicendo?” dico entrando nella stanza quasi urlando.
    Umibozu è seduto sul letto e noto subito con un sospiro di sollievo che ha ripreso colore.
    “Mi ha fatto prendere un colpo!”
    “Debbo scusarmi perché ho una patologia cardiaca?” mi domanda ironico.
    “No,” rimbecco “deve scusarsi perché la sua patologia si è manifestata in modo del tutto improprio!”
    La verità è che sono scossa.
    Scossa da quello che Mitzuki mi ha rivelato sui presunti sentimenti di Umibozu nei miei riguardi.
    Scossa da quello che io stessa ho provato quando, tenendolo tra le braccia, ho sentito lo stesso terrore esperito vent’anni fa, perdendo Masumi.
    C’è una differenza d’età abissale: non riesco neppure a calcolare la differenza tra la mia e la sua età! Senza contare che c’è una donna, nella sua vita. Una fidanzata giovane e decisamente più alla sua portata.
    “Sono indotta a pensare che l’arte procuri agli animi più sensibili scompensi e risvolti inattesi.” Dico mentre avvicino la finestra così da evitare di guardarlo negli occhi.
    “Un artista non dovrebbe stupirsene.” Mi dice alzandosi dal letto.
    Poggia i piedi per terra, come a prendere contatto con la realtà. Il letto, penso, non è che una realtà sospesa tra vita e morte e, nell’incoscienza del sonno, siamo come trapassati.
    “Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni.” Recito Shakespeare “L’arte riesce a creare ponti che, nella realtà, non potrebbero sussistere.”
    “Da questo punto di vista, è del tutto simile alla fede.” Mi fa eco “Ragazzina, qual è stato il suo ruolo più difficile?”
    Lo guardo:
    “Quello della dèa, ovviamente.”
    Lui annuisce.
    “Far credere nella dèa scarlatta è impresa ardua, specie quando si hanno a disposizione solo macerie.”
    “E in che cosa quella situazione non è dissimile da quella degli uomini?” domando tristemente “Di una vita che promette magnificenza e splendore restano solo cocci, macerie e tombe.”
    Umibozu mi mette una mano sulla spalla:
    “Lei ha contemplato il miracolo: ha potuto vedere l’amore di anime coi suoi occhi. È sopravvissuta al suo amore per vent’anni. Se non avesse creduto, ritiene sarebbe stato possibile? E Masumi, dal canto suo, non l’ha mai abbandonata. È sempre accanto a lei.”
    “Non capisce proprio, è così?” domando tesa “Lei ha la sua anima gemella, ma io mi sono accorta di essere sola parallelamente all’aver scoperto il mio amore: e, dopo che Masumi è morto, la solitudine è tornata a farmi da compagna.”
    “Ma il suo pensiero è con lei. Non è forse, questo, un modo per tenere desti i contatti?”
    Sorrido della semplicità delle sue parole.
    “Evidentemente, non ha mai perso nessuno di così caro, se parla in questi termini. È infantile.”
    “E’ infantile ciò che dico?” mi fa il verso “E’ infantile non credere nella fortuna che ha avuto nel trovarla, quell’anima gemella. Quella stessa parte che la inseguirà per tutta la vita sino a che non si sarà ricongiunta con lei.”
    “Questo ciclo di vite è troppo lungo.” Affermo con rammarico “Io non sono così vecchia ancora da pensare di raggiungerlo a breve.”
    “Perché lei crede che le cose avvengano in modo meccanico!” sbotta “Perché pensa che dipenda tutto da lei! Perché ragiona in termini egoistici? C’è anche Masumi, da qualche parte, lo sapeva? Non se ne dimentichi! Lui la chiama disperatamente almeno quanto lei chiama lui!”
    “Vorrei tanto poterlo sentire.” Dico in un soffio, mentre lascio precipitosamente la stanza.
    Non mi capisco.
    Sento in modo pressoché disperato la mancanza di Masumi e, al tempo stesso, da quando Umibozu è nella mia vita, è come averlo nuovamente con me. Tutto ciò non ha alcun senso.
     
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    Capitolo ventuno.



    E’ un giorno di vento, foriero di ben più potente tempesta.
    Il lavoro, a dispetto delle indicazioni perentorie del medico, prosegue. Non ci dedichiamo alla lettura e interpretazione del nuovo copione, che, a quanto pare, provoca più stress di quanto non faccia l’economia nuda e cruda. Certo, però, quando si torna a parlare di Sakurakoji, del fatto che non vorrei nessun altro, al mio fianco, come partner per il lancio del nuovo copione, la tensione torna a crescere.
    Umibozu è troppo intelligente per vivere di preconcetti. Ho la sensazione netta che oscilli tra la necessità che sia davvero Sakurakoji a vestire i panni di Isshin e il volerlo allontanare a tutti i costi. Questo può avere una sola spiegazione, ma è quella che mi rifiuto di accettare. Se solo ipotizzassi corrispondesse a verità, finirei per evidenziare quei sentimenti che io stessa non posso provare.
    Comprendo Masumi, il suo terrore di avvicinarmi in riferimento all’anagrafe. Ma, ora, la situazione è ancora più complessa giacché potrei essere la madre di questo ragazzo.
    Per non parlare del fatto che amare un’altra persona, nella mia condizione, con Masumi costantemente nella testa, sarebbe inaccettabile.
    “Cosa le piace del suo partner storico, ragazzina?”
    Sono cinque giorni che Umibozu è ricoverato in questa struttura e nessuno è venuto a trovarlo. Non il padre, non la fidanzata di cui mi ha parlato.
    “Allora?” mi richiede.
    “E la sua fidanzata?” domando a mia volta “Perché non è qui?”
    “Non voglio si preoccupi inutilmente.” Risponde “Sono più forte di quanto non creda.”
    “Avvertire chi ama sarebbe un incentivo per lei per una più rapida guarigione.” Dico perplessa da tanta tenacia.
    “Ho tutto quello che mi serve.” Afferma ed io mi sento avvampare dentro, però. Ancora una volta, infatti, la sua risposta è ambigua.
    “Perché non le piace Sakurakoji?” provo di nuovo ad indagare.
    Lui, constato in quell’istante, regge perfettamente i miei occhi indagatori, a differenza di me:
    “Guarderò con riprovazione chiunque si avvicini alla mia creatura.”
    Sta parlando seriamente.
    “Ed è questo che rappresento?” dico in un soffio “Una sua creatura?”
    Ridacchio imbarazzata, mentre lui, stupendomi, afferra la mia mano:
    “Maya Kitajima – ha il tono solenne – lei è preziosa per me più dell’oro, più di qualsiasi guadagno materiale: è la mia dèa scarlatta.”
    La sua dèa.
    Sì, lo supponevo ed è per questo che è entrato nella mia società di produzione artistica.
    Siamo interrotti dall’entrata del medico, che lo rimbrotta. Capisco, dallo scambio di battute, che è il suo cardiologo.
    “Per un ragazzo che ha subìto un trapianto, un carico simile di stress è controproducente. È passato molto tempo e, a prescindere da questo, sa bene di non potersi sentire al sicuro.”
    Finalmente, ora so. Nel petto di Umibozu è stato cucito il cuore di qualcuno che è passato a miglior vita.
    Il dottore esce ed io gli sono dietro in un istante per saperne di più.
    L’uomo mi guarda accigliato:
    “E’ una parente? Perché, se non lo è, non sono tenuto a passarle alcuna informazione.”
    “Sono la sua datrice di lavoro.” Dico sicura “Stiamo lavorando ad un progetto importantissimo!”
    “Non mi importa se state lavorando con l’Imperatore in persona.” Mi rimbrotta “Quel ragazzo deve stare a riposo!”
    Torno da Umibozu col volto teso.
    “Non ha saputo niente di nuovo, se ha letto il mio fascicolo.” Mi dice subito quest’ultimo “Suppongo, però, guardandola in viso, che non l’abbia fatto.”
    Guarda la chioma degli alberi che dondolano quasi con violenza al di là della finestra.
    “Detesto gli ospedali.” Dico piano “Mi ricordano quella notte.”
    Egli non replica.
    “La notte in cui ho perso Masumi, anche tutta la mia vita è andata a puttane. Ho iniziato a vivere in modo del tutto diverso. Più che fare l’attrice, ho accettato di diventare una sorta di talent scout. Tutto per ingannare me stessa e ciò per cui sono nata. Sì, ne convengo. Non ho mai smesso di recitare, ma l’ho fatto senza convinzione alcuna: raggiunto il traguardo che mi ero prefissato ovvero vestire i panni di Akoya, mi sono chiusa in me stessa, curandomi di preservare quanto mi restava, senza più mettermi in discussione.”
    Lo guardo nei profondi occhi azzurri:
    “Ma lei, questo, lo aveva intuito. Vero, ragazzino?”
    Egli annuisce, ma stavolta non trova nulla su cui ironizzare e mi stupisce una volta di più.
    “Comprensibile: ritrovare l’altra metà della propria anima e perderla così repentinamente…”
    “No,” dico con le lacrime agli occhi “lei non lo sa, anche se, per qualche strano motivo, sento che comprende. Perché questa sensazione?”
    Egli abbassa il capo, ma non risponde: pare confuso, spiazzato. Vorrebbe dire, ma non dice. È come se la voce non venisse fuori.
    “Sakurakoji” riprendo “ha accettato ancora una volta di vestire i panni di Isshin. Nessun altro è in grado di capire lo scultore sacro: non ha trovato la sua anima gemella, ma è andato in cerca di essa per metà della sua vita. Incessantemente, disperatamente.”
    Non dice nulla e, allora, gli spiattello ciò che penso ovvero che persino lui sa che nessun altro è degno di abbracciare quel ruolo.
    “Ancora una volta, per sognare, mi toccherà soffrire profondamente. E’ necessario, però. Sul palcoscenico, è sempre stato Sakurakoji la sua anima gemella, è così?”
    Annuisco.
    “Non sia geloso.” Provo a sdrammatizzare “O questa <vecchia> penserà che le passano per la testa delle strane idee.”
    “Idee come baciarla appassionatamente, ragazzina?”
    E’ serio. E’ serio? E’ serio!
    “Lei è sotto farmaci pesanti.” Rispondo col cuore che batte all’impazzata “Riposi. Un mio bacio sarebbe controindicato, nelle sue condizioni.”
    Decide immantinente di cambiare discorso, tornando su Yuu. A quanto pare, non è così fuori di testa:
    “Ad ogni modo, il suo partner storico è stato apprezzato dalla critica, ne convengo e, da quanto dicono i più anziani, è risultato, a tratti, commovente.”
    Si riferiva al fatto che avesse recitato con la gamba rotta nello spettacolo dimostrativo.
    “Proprio non le riesce di fargli un complimento!” sbuffo “E, se mi dicesse che non ha mai visto la rappresentazione sui canali youtube, non le crederei.”
    “Qualcuno ha cancellato quei video. Li ho veduti giusto un paio di volte, anche perché ero concentrato su altro.”
    Riecco la battuta tendenziosa.
    Si sta tracimando senza saperlo oppure è la solita battuta finalizzata a creare imbarazzo.
    Quell’altro sono, senz’ombra di dubbio, io.
    “Lei” dice infatti “è, senza dubbio, la più degna interprete di Chigusa Tsukikage: ha creato la sua dèa dal nulla. Ha mutato il suo aspetto ordinario in quello di un essere divino e un mucchio di macerie in una valle scarlatta.”
    Mi fissa con ammirazione, senza alcuna menzogna, senza affettazione. La butto sul ridere ancora una volta:
    “Grazie per l’aspetto ordinario!”
    “Era bellissima.” Mi interrompe “Divina e inaccessibile; spontanea, pur nel suo essere sospesa tra terra e cielo; tutt’uno col cielo e con ogni altro essere terrestre; grata per il dono della vita e portatrice di vita, parimenti.”
    E’ ispirato e appare molto felice, come chi è soddisfatto e non palesa alcuna obiezione.
    “Il suo cuore era pieno di amore.” Conclude “L’amore per la sua anima gemella ha fatto sì che la sua interpretazione fosse impeccabile. Nessuno ha potuto dubitare dell’apparizione della dèa scarlatta. Tanto più che ciò è accaduto proprio tra le macerie del Kyoshoto. Nessuno ha trovato da ridire sul fatto che la rivisitazione di Kuronuma, scarna ed essenziale come è tipico della sua regia, abbia avuto la meglio sulla tradizione. Forse, solo quella nella Valle dei Susini offerta da Genzo e dalla sensei è stata, non dico superiore, ma pari.”
    Questo mi stupisce e glielo dico:
    “E’ strano che faccia riferimento a quella rappresentazione, dato che non esistono registrazioni…la signora Tsukikage era stata assai ferma, a quel tempo. Nessuno doveva riprendere né con cellulari né con altri mezzi.”
    Umibozu deglutisce come chi è colto in fallo.
    “Esistono” dice “centinaia d’articoli su quello spettacolo.”
    Ma non è per nulla convincente e lo sa anche lui: infatti, nessuno al mondo può definire bello o brutto qualcosa che non ha mai veduto. E mi stranizza che lui, pragmatico qual è e preciso, faccia commenti di tal fatta. Chi lo ascoltasse senza conoscerne l’età direbbe che parla per avere visto, non per avere semplicemente letto i commenti.
    La mia espressione ironica, infatti, gli appare chiara e non può fare a meno di arrossire.
    “Prima che mi lanci addosso i suoi commenti sarcastici, le dico che non sto inventandomi niente né parlo per sentito dire. Sul manoscritto che sto trasformando in copione vi sono riferimenti molto simili: Ichiren Oozachi ha parlato della prima apparizione della dèa in un contesto di guerra e distruzione. Quando ho letto quel testo, mi sono figurato il Kyoshoto e ho cercato su internet, anche, delle foto precedenti alla realizzazione del teatro.
    “Di quello spazio distrutto solo una parte è stata conservata.” Sospiro “Quella in cui ho recitato la scena dell’innamoramento della dèa scarlatta. E’ come una teca, una sorta di piramide del Louvre, trasparente, dall’apparenza fragile.”
    Mi rammento con sorpresa del fatto che Masumi non ha mai assistito a quella rappresentazione. Se ne è andato giusto qualche giorno prima, lasciandomi preda di una disperazione che, per paradosso, mi è servita per comunicare i sentimenti di una divinità delusa degli uomini e del Fato che hanno abbracciato.
    Eppure, neanche per un momento ho pensato che lui non ci fosse, che non mi guardasse recitare la parte di Akoya. Parimenti, mi è difficile pensare che Umibozu non abbia assistito alla mia rappresentazione.
    “Lei mi procura scompensi strani.” Confesso “Sotto <certi> punti di vista… sotto <tanti> punti di vista, mi ricorda Masumi Hayami.”
    Non trova da ridire, anzi. Conferma ciò che dico, spiazzandomi:
    “E’ del tutto normale. In pochi, venerano realmente un autore e la sua opera. Indubbiamente, il signor Hayami è stato uno dei massimi estimatori del capolavoro scomparso. Visse come un’ossessione l’idea che qualcun altro la mettesse in scena. Lei, forse, non lo sa, ma, consapevole dell’impossibilità di farlo, quell’uomo riuscì ad intrufolarsi negli affari del Kyoshoto: fu lui a finanziare l’Associazione Nazionale per lo Spettacolo e, quindi, si può dire che, indirettamente, abbia realizzato il suo proposito. E coronato anche il sogno del suo genitore adottivo.”
    “Non lo sapevo, ma non mi stupisce: nulla di ciò che Masumi ha fatto mi coglie di sorpresa. Dietro ad ogni gesto, si celava il suo immenso affetto per me. Lui era il mio unico e meraviglioso donatore di rose scarlatte. Fin dalla mia prima volta sul palcoscenico, non mancò mai di testimoniarmi la sua devozione. Nessun altro ha parlato di me con tanta passione. Nessuno, tranne lei, Umibozu.”
    Il ragazzo deglutisce:
    “Vorrei sapesse che non è sola, Maya.”
     
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  7. Nathascia
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    Laura sei bravissima!!!!
     
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    Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza

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    NO AL REVISIONISMO STORICO

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    Grazie, mia cara, di essere arrivata anche a casa mia.
     
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    Discepolo

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    Come sempre il tuo stile cattura il lettore fin dalle prime righe. Bellissimo anche questo racconto. Mettere un ventennio dai fatti del manga ti ha permesso ancora una volta di creare una trama originale. Ho il vago sospetto che quel giovane dal cuore delicato sia l’incarnazione del bel Masumi 😉...
    Grazie 😘
    Silvia.
     
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  10. Shakamunilover
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    Ho il vago sospetto che sia Il cuore di Masumi a battere nel suo petto, così, a intuito...
     
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24 replies since 28/4/2017, 15:47   1264 views
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